La cameretta. Parte III: giocare.
di Adriana Correa
Il post di oggi tratta un argomento complesso e molto articolato, difficile da affrontare in poche righe; sul gioco hanno scritto filosofi, antropologi, psicologi, sociologi e pedagogisti, proprio perché è un’attività fondamentale della natura umana e ognuna di queste discipline lo interpreta in maniera diversa.
Non intendo entrare in una discussione così complessa e sulla quale non ho le competenze per fare un’analisi approfondita. Tuttavia mi sembra importante, anche se sarà sicuramente molto riduttivo, cercare di definire alcune premesse che possono orientarci in questo vasto tema, prima di entrare in quello che è l’argomento di questo articolo: lo spazio domestico del gioco.
Come prima cosa credo sia importante domandarci cosa vuol dire GIOCARE.
Senza entrare nei particolari di una ricerca storica, da Jonat Huizinga (nel suo libro Homo Ludens, 1938, per il quale il gioco è un elemento primordiale nella formazione della cultura) in poi, il concetto di “gioco” si è arricchito con i contributi di studiosi di diverse discipline. Forse riassumendo, e in maniera abbastanza schematica, possiamo dire che un gioco, perché sia gioco, deve essere libero (il gioco comandato non è più gioco. Il gioco deve essere una scelta libera o essere accettato liberamente. Il gioco non può essere imposto), gratuito (superfluo e disinteressato, fine a se stesso, senza altri scopi se non quello di trovare piacere nel giocare), provvisorio (entro un limite spazio-temporale), incerto (lo svolgimento e il risultato non possono essere decisi a priori), regolato (risponde a regole interne diverse da quelle del mondo reale), fittizio (consapevole della sua irrealtà), piacevole (che produce piacere).
Come genitore credo sia importante non perdere di vista queste caratteristiche. Oggi sappiamo che il gioco è un’attività fondamentale per la crescita sana di un bambino perché attraverso esso egli sviluppa le sue capacità non solo cognitive ma anche emotive e di relazioni, ma forse abbiamo dimenticato cosa significa effettivamente per un bambino il gioco e come possiamo sostenerlo, o, quanto meno, cercare di non ostacolarlo, limitarlo o impoverirlo.
Il gioco non può essere soggetto a controllo, altrimenti non è veramente libero. Il fatto che i bambini di oggi non siano più messi nella condizione di giocare da soli toglie importanti significati al gioco e limita una delle sue più importanti potenzialità: fare esperienza. L’adulto in prossimità del bambino, nella maggior parte dei casi, impedisce nel gioco la dimensione del rischio, interviene nei conflitti, condiziona i movimenti del corpo e, a volte, limita le potenzialità di trasformazione del gioco riducendolo a schemi predefiniti e ripetitivi.
La esperienza non si insegna, non si trasmette. E’ un atto strettamente individuale. Si fa esperienza quando si affrontano le difficoltà, si provano alternative, si commettono errori, da soli. Se non c’è esperienza non c’è crescita e più si è protettivi nei confronti dei figli, più si limita l’esperienza.
Il gioco non deve perseguire un fine, si gioca solo per il piacere di giocare. Il gioco viene spesso strumentalizzato come veicolo di apprendimento. E’ facile come genitori cadere nel rischio di voler indirizzare le scelte dei giochi per preferire quelli che noi intendiamo essere più “educativi”.
Nell’enorme macchina commerciale che ci condiziona è difficile orientarsi e capire cosa vuol dire “educativo”. Questo in sé sarebbe argomento di un altro articolo, per approfondimenti vi invito a leggere qui. Non che non sia giusto privilegiare un tipo di gioco piuttosto che un altro, ma lasciamo ai bambini giocare per il semplice piacere del gioco.
per giocare con mia figlia di otto anni lascio che sia lei a decidere cosa fare. Spesso facciamo giochi molto semplici o a volte li inventa lei e, anche se a me possono sembrare “poco interessanti”, in questa operazione c’è una componente di creatività e di progettualità da parte sua che mi sembrano molto più “educative” di qualsiasi altra proposta. Pensiamoci.
Giocare a casa.
Per i bambini il gioco è una modalità d’esistenza costante. Comincia prestissimo, dal contatto con i capezzoli e con gli occhi della mamma, per poi svilupparsi con la crescita in forme sempre più complesse. Il gioco non ha limiti. Qualsiasi azione può diventare un gioco, dal battere un cucchiaino contro il tavolo a guardarsi le mani e possiamo o no accettarlo nei limiti della convivenza. Le attività di vita quotidiana sono giochi nella misura in cui sono scoperte, attivano l’esplorazione dei sensi e del movimento.
La casa è in sé luogo dove il gioco si svolge e non c’è niente di più bello per un bambino che giocare con le pentole e gli attrezzi della cucina (quelli veri), o mettersi sotto il tavolo della sala da pranzo e trasformarlo in una macchina, una barca, un’astronave, un sottomarino nucleare. La casa non ha bisogno in realtà di avere uno spazio dove giocare, si gioca ovunque e sempre. Chiaramente però, mentre una mamma sta a casa con i bambini può predisporre alcuni spazi per il gioco, perché questi si possano svolgere in modo sicuro.
Giocare per terra
Quando si tratta di bambini dai primi mesi a 1 anno, lo spazio privilegiato per il gioco è il pavimento. Dalla posizione supina, a quella seduta o quando si comincia a gattonare, il pavimento è lo spazio più sicuro e che consente maggiore libertà di movimento al bambino. Disporre di un tappeto adatto e di grandi dimensioni è importantissimo in questa fase.
I primi mesi di vita sono momenti di continua esplorazione sensoriale e della scoperta del proprio corpo. E’ di grande importanza consentire la libertà di movimento al neonato, che lentamente imparerà a girarsi, rotolarsi, sedersi, mettersi a gattoni … La conoscenza del mondo passa in questa fase attraverso il tatto dal contatto con diverse superfici, temperature, gradi di ruvidità, ecc e la pelle è l’organo attraverso il quale passano tutti gli stimoli. Cerchiamo di non coprire i bambini eccessivamente e di lasciare liberi mani e piedi, le estremità più sensibili del nostro corpo.
Giocare a tavolino
A partire dai due anni circa ci sono tutta una serie di attività che si svolgono a tavolino. Non tutti i bambini riescono a svolgere dei giochi che richiedano stare seduti, o almeno non per molto tempo, ovviamente questo dipende dalla personalità del bambino. I tempi di attenzione e il grado di concentrazione dipendono dell’interesse che lui ha per un determinato gioco. Lasciargli la libertà di scelta è fondamentale, i giochi dovrebbero stare a sua portata e chiaramente identificabili, in modo che lui possa prenderli e riporli nel giusto posto.
Giocare in piedi: il gioco simbolico
Dai 2 ai 6-7 anni il bambino è in grado di usare i simboli, cioè di rappresentare e di rappresentarsi come altro. Per il gioco simbolico si intende quando il bambino comincia ad imitare (in forma differita, cioè, azioni che sono successe in passato e delle quali lui conserva una memoria) comportamenti di vita quotidiana che vede negli adulti, come cucinare, accudire i bambini, aggiustare un mobile con un cacciavite, ecc. Anche dare un significato diverso ad un oggetto è un gioco simbolico: il manico di una scopa diventa un cavallo, un pezzo di cartone una spada, le dita della mano una pistola. Non c’è uno spazio per il gioco simbolico, ma spesso vediamo negli asili nido l’angolo destinato ad esso dove si rappresentano a dimensione bambino gli ambienti domestici di una casa.
Giochi e giocattoli.
Un tempo i bambini non avevano giocattoli. Erano rari. Il giocattolo era un oggetto di pochi. Oggi invece i bambini hanno solitamente un eccesso di giocattoli e la maggior parte delle volte non li usano. Spesso si tirano fuori solo quando arrivano a casa altri bambini per i quali sono nuovi.
Personalmente non amo, per i miei figli, avere tanti giocattoli, preferisco pochi ma buoni. Sul buon gioco e il buon giocattolo ci sarebbe da porsi molte domande. Se volete approfondire potete leggere qui, qui e qui. Il buon giocattolo si presta a più usi e letture da parte dei bambini. In generale un giocattolo più semplice è, maggiori potenzialità avrà nel gioco. Spesso invece più sofisticato è, più sarà limitato nell’ uso. Una macchinina telecomandata riduce l’azione del gioco a cliccare un tasto per cambiare la direzione di spostamento. Una macchinina convenzionale può fare dei percorsi molto più complessi: attraversare il divano, scendere e salire sul tavolo, andare sulle pareti, fare capriole e salti mortali, perfino volare. Tanto per dirne una.
Comunque, qualunque sia il numero di giochi e giocattoli presenti in una casa, bisogna pure trovare uno spazio per riporli.
Per la loro disposizione vi propongo alcuni criteri montessoriani. Questi non riguardano solo l’ altezza alla quale devono trovarsi ma anche altri aspetti da tenere in considerazione.
La classificazione. L’ordine è un aspetto fondamentale per la comprensione da parte dei bambini degli oggetti che stanno loro attorno. Un bambino tra i 2 e i 5 anni non è ancora in grado di fare una classificazione degli oggetti e di raggrupparli per categorie. Questa operazione potrà realizzarla più avanti, a sei anni, quando non per caso a scuola comincerà a studiare il concetto di “insieme”. Quello che invece un bambino a due anni è in grado di fare è di realizzare una mappatura dello spazio che lo circonda e di sviluppare una, assai precisa, memoria spaziale. E’ in grado quindi di ricordare dove vanno gli oggetti e di riporli nello stesso posto. Dividere i giochi e giocattoli per categorie consente un orientamento nel bambino per affinità d’intenzione. Se la disposizione dei giochi è chiara e non cambia, possiamo consentire il gioco in autonomia, dal momento della scelta a quello di mettere in ordine.
Ogni cosa al suo posto. Da un punto di vista strettamente montessoriano ogni cosa dovrebbe avere un posto. Il fatto di avere uno spazio per ogni gioco da una dignità all’oggetto, che verrà preso con intenzionalità e verrà trattato con cura e attenzione. Ogni gioco sarà così visibile e facile da prendere e rimettere a posto.
L’Utilità. Cerchiamo di evitare giochi e oggetti superflui, quelli che i nostri bambini non usano più. Gli oggetti devono servire a qualcosa, altrimenti non ha senso averli a disposizione.
La complessità. La varietà è ricchezza per i bambini. Se da una parte è vero che gli spazi semplici e con poche cose sono rilassanti agli occhi e alla mente, è anche vero che la complessità è ricca di spunti. Avere per esempio diversi tipi di mobili dove mettere i giochi, con sportelli e non, con cassetti, contenitori appesi alla parete, arricchisce lo spazio e da’ un carattere diverso ad ogni situazione di gioco.
Con questi criteri in mente è preferibile l’uso di librerie a giorno o semplicemente mensole, ad altezza bambino, per quei giochi o attività manuali che richiedono stare seduti a tavolino. Possiamo decidere come organizzarli in base alle nostre esigenze: attività di manipolazione, disegno e attività pittoriche, travasi, infilare perline, giochi da tavolo , ecc.
Per i giocattoli come macchinine, animali, aerei, palle, trenini, dinosauri si può optare per dei contenitori differenziati, magari facilmente estraibili, che possono essere chiaramente identificabili attraverso un disegno.
Questo è un free printable: potete scaricare i disegni di vari colori (io li ho stampati su un foglio adesivo e ne sono usciti splendide etichette), verde, grigio e arancione.
Un angolo dedicato alle bambole e i pupazzi, il cucinino, le attività che imitano la vita domestica (gioco simbolico) si può trovare bene affianco ad uno per i travestimenti, con uno specchio vicino.
Se è possibile è bello anche dedicare uno spazio alla lettura. Per i libri preferiti le librerie frontali sono molto efficaci perché espongono le copertine in forma immediata.
Si possono tenere gli altri libri in mensole separate e ruotarli. Il libri si trovano bene anche a fianco degli strumenti musicali o cd, la lettura e la musica hanno molte cose in comune.
Disporre di un angolo morbido o una poltrona dove la lettura solitamente si svolge aiuta a prepararci per l’ascolto dedicandogli uno spazio e tempo separati.
Il tempo per giocare.
Come ultimo appunto vorrei invitarvi a riflettere su quanto tempo i bambini oggi dedicano effettivamente al gioco. Intanto dobbiamo essere consapevoli del fatto che il gioco, nel suo significato più profondo: da soli e in assoluta libertà, apparteneva ai nostri nonni, ai nostri genitori, raramente a noi, non più ai nostri figli. Ma oltre a questo nelle nostre vite quotidiane ho l’impressione che loro non hanno più tempo per giocare. Paradossalmente il tempo dove il gioco in compagnia di altri bambini si svolge è sempre più limitato alle ore di ricreazione a scuola. I bambini, soprattutto in età scolastica (ma anche prima), sono talmente impegnati tra compiti e attività pomeridiane che non hanno più tempo per giocare con gli amici.
Quanto, allora, crediamo sia importante giocare?
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Non perdetevi il prossimo appuntamento mercoledì 7 maggio: Il bagno, prendersi cura di sé.
Adriana Correa è architetto laureata a Caracas nel 1996. Dal 2005 apre il proprio studio di progettazione DZ4 insieme a Luigi Martinelli. E’ anche madre di tre figli: una bambina nata nel 2006 e due gemelli maschi arrivati a sorpresa nel 2010. Nel 2011 nasce il progetto Kid’s Modulor di disegno di arredi e ambienti per bambini. Ha progettato il letto CASITA attualmente in fase di produzione.
2 commenti
simona ortolan
Ciao Adriana, davvero un bellissimo post! vado a condividere!
Adriana
Grazie Simona!, mi fa molto piacere se lo vuoi condividere!. Un caro saluto, Adriana.